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Non è uno sport per gentiluomini

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Di Pasquale Amoruso

A Bari c’è un antico modo di dire: “femarse na pipe e scersene a dorme”, cioè fumarsi una pipa e andare a dormire, e significa non avere niente da mangiare per cena. Nella civiltà contadina, il pasto principale della giornata, spesso l’unico, era la cena, fumare la pipa e andarsene a letto voleva dire essere talmente in miseria da sostituire il cibo con una fumata di pipa. La pipa rappresentava l’estrema povertà: pure se non hai manco un pezzo di pane, comunque hai una pipa.

Per quanto nell’immaginario collettivo sia associata all’idea della nobiltà: l’operaio si rolla una sigaretta, l’industriale spunta un sigaro e il lord carica la sua pipa, in realtà l’origine, la diffusione e l’uso della pipa è tutt’altro che nobile. Mi spiace darvi questo brusco risveglio, cari radical chic, ma non è un’abitudine da lord, la pipa non è uno sport per gentiluomini.
La pipa è proletaria.

Certo, Alfred Dunhill ci ha messo del suo per farla passare per uno status symbol del lusso, un oggetto per gentiluomini, ma se pensiamo alla storia della pipa, se pensiamo a Pipe Rossi, ai fratelli Lana, a Carati, se pensiamo alla radica e alla diffusione della pipa in massa, ci rendiamo conto che, alla fine, il mantello della nobiltà sulle spalle della pipa è piuttosto corto.

Fin da gli albori della sua storia, la pipa è stata il modo di fumare delle masse, non dei gentiluomini. le sigarette non esistevano, sono una creazione moderna, inventata nel 1830 dai soldati musulmani che, non potendo fumare il narghilè durante l’assedio di San Giovanni, D’Acri, in Palestina, usavano i tubicini di carta che contenevano polvere da sparo, riempiendoli di tabacco sbriciolato. Sai che fumate scoppiettanti!
I sigari, d’altro canto, rappresentavano un raffinato e laborioso processo di trasformazione del tabacco, troppo complicato: la pipa era più semplice: foravi un legno, ci mettevi le foglie essiccate e sbriciolate di tabacco (o altro) e fumavi.
La pipa, invece, è più antica persino del tabacco e fin dal principio, al netto di quella rituale, era un oggetto di produzione casalinga, fatta di legni poveri, terracotta o gesso, non esistevano gli artigiani della pipa nella concezione moderna che ne abbiamo, perciò le pipe erano un oggetto povero e che durava poco. Ed ecco che tra il 1500 e il 1600, per distinguersi dalle masse che fumavano la pipa, la nobiltà europea cominciò a fiutare il tabacco.

Certo, questo non significa che, benché fosse uno strumento povero, non ci fossero nobili estimatori della cultura piparia: Federico I di Prussia, per esempio, nei primi anni del 700 istituì un’accademia della pipa che la riportò brevemente in auge tra le classi sociali più alte e fece nascere un mercato, piccolo ed estremamente di nicchia di pipe scultoree pregiate. Tuttavia suo nipote, Federico II, trovava la cosa troppo da cafoni e fece tornare il tabacco da fiuto di nuovo di moda tra la nobiltà europea. Certo, perché la pipa è da cafoni, ma le narici nere, invece…
Nel corso di circa due secoli e mezzo, però, la pipa, piano piano, aveva cominciato a evolversi, da oggetto misero di produzione amatoriale, stavano cominciando a sorgere le prime botteghe artigiane della pipa, 

A metà ‘800, però, a Saint Claude in Francia, in alcune botteghe artigiane nasce la pipa in radica ed è qui che parte la rivoluzione.
La radica resiste meglio al fuoco rispetto ad altri legni, resiste meglio agli urti rispetto alle pipe in gesso o terracotta e la qualità della fumata è eccellente. È da subito un enorme successo commerciale, la richiesta di pipe in radica ora è altissima e in Francia, Italia e Regno Unito sorgono immediatamente poli industriali della pipa che in pochi anni, fino alle soglie del ‘900, arriveranno a saturare il mercato con centinaia di migliaia di pipe l’anno, vendute in tutto il mondo. Industrie il cui obbiettivo è puntare sulla quantità con prodotti di basso costo, commercialmente convenienti e accessibili a tutti. E ci riescono, al punto che in questo periodo storico, fumare la pipa è più economico che fumare le sigarette.

La pipa, che nasceva come un oggetto autoprodotto o prodotto da artigiani che ne facevano una tra il manico di una zappa e uno sgabello e che comunque non avevano una grande distribuzione, era diventata un fenomeno industriale globale, erano vendute a prezzi popolari nelle drogherie, nelle farmacie. Ovviamente, laboratori artigianali e anche piuttosto importanti esistevano, Savinelli, ad esempio, nasce come rivendita di pipe artigianali, prodotte proprio nel varesotto, Charles Peterson era un artigiano che faceva pipe su ordinazione e che aveva cominciato a lavorare proprio con la schiuma di mare. In più, di sicuro esistevano anche le fasce più alte, le pipe più pregiate, perché esistevano estimatori nelle classi sociali più abbienti, dalla nuova borghesia alla vecchia nobiltà, ma erano qualcosa in più: l’acquirente possidente, il mercato del lusso non erano il target principale dell’industria piparia di fine ‘800, di inizio ‘900

Da allora fino al secondo dopoguerra, le pipe in radica (quindi la quasi totalità delle pipe vendute) erano di fattura industriale, perché le industrie potevano permettersi grandi numeri e tenere i costi bassi.
In questa prima fase, tendenzialmente, non c’era una grande ricerca delle forme o del design, essenzialmente perché non era ancora così diffuso il collezionismo come lo è oggi: l’importante era offrire un prodotto valido e che fumasse bene e le pipe che venivano smacchinate erano sostanzialmente in due shape: la dritta e la curva. Te ne compravi una, te la ficcavi in tasca, la maltrattavi, ci fumavi quello che volevi e non ci pensavi più. Essendo uno strumento e non un orpello, il fumatore ne aveva due, tre, i più estrosi quattro, va’, ed erano quelle per tutta la vita.

Ecco che, passata la moda del fiuto (perché, diciamocela tutta, il fiuto? Sul serio?) anche nell’800 la nobiltà ebbe l’esigenza di doversi nuovamente distinguere dalle masse, a quel punto i gentiluomini si diedero ai sigari. Prova ne è l’anilla, la fascetta di carta che avvolge parte del sigaro, fu introdotta nel 1860 da un inglese che importava sigari cubani, per fare in modo che le mani dei suoi clienti, e soprattutto i loro guanti bianchi, non ingiallissero a contatto col sigaro. Ora, figuriamoci se le masse indossavano i guanti bianchi o se fregava a qualcuno se le mani di operai, contadini o contabili ingiallivano per il sigaro.

Tuttavia, a un certo punto, qualcosa è cambiato. Quando la pipa ha smesso di essere un oggetto popolare per diventare un oggetto borghese? Quando le è venuta l’aria snob? Quando la pipa ha cominciato a spacciarsi per un oggetto da gentleman?
Beh, questa, se permettete, è una storia per la prossima vo
lta. (Continua…)